
Nel 2026 l’Intelligenza Artificiale può davvero “salvare” l’economia italiana?
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L’economia italiana sembra aver premuto il tasto stand-by. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio 4/2025, il PIL resta fermo e la situazione di sostanziale stagnazione è destinata a protrarsi almeno fino al 2026. Con un’inflazione contenuta, stimata intorno all’1,20%, la crescita nominale non è sufficiente a compensare il rallentamento reale, che potrebbe tradursi in una lieve contrazione entro settembre del prossimo anno.
La fine del PNRR, però, non è l’unica causa di questa calma piatta. Il vero nodo è una politica economica fortemente orientata alla disciplina fiscale, necessaria per rispettare i vincoli europei ma incapace, al momento, di sostituire lo stimolo straordinario garantito dal Piano negli ultimi anni. Il risultato è un’economia che fatica a trovare nuove fonti di slancio, soprattutto sul fronte della spesa privata di famiglie e imprese.
Sul piano finanziario, le principali agenzie di rating hanno migliorato il giudizio sul debito pubblico italiano, segnalando una rinnovata fiducia nella tenuta dei conti. Le stime indicano una lieve riduzione entro la fine del 2025, ma le proiezioni per l’inizio del 2026 mostrano un’inversione di tendenza: il debito tornerà a crescere, nonostante il contenimento della spesa pubblica.
Ed è qui che entra in gioco il fattore tecnologico. Senza una crescita strutturale, il miglioramento dei conti rischia di restare puramente statistico. L’adozione di intelligenza artificiale, modelli predittivi e analisi data-driven nei processi decisionali pubblici potrebbe rappresentare il vero punto di svolta, consentendo il passaggio da politiche reattive a politiche anticipatorie.
Anche lo scenario dei tassi di interesse riflette un clima di incertezza: i titoli di Stato a breve termine mostrano segnali di riduzione, mentre quelli a lungo termine registrano un lieve aumento. Ancora più interessante è il comportamento del credito bancario. Oggi i prestiti alle imprese risultano meno costosi rispetto a quelli alle famiglie, con tassi in calo sulle nuove erogazioni aziendali e mutui sostanzialmente stabili.
Il messaggio è chiaro: il sistema bancario percepisce le imprese come meno rischiose dei nuclei familiari. Un segnale che solleva interrogativi cruciali su produttività, investimenti e competitività, e che rimanda ancora una volta al ruolo strategico di automazione intelligente e tecnologie AI-driven.
Il mercato del lavoro, intanto, mostra un paradosso tutto italiano. Gli occupati superano i 24 milioni, mentre i disoccupati restano stabili intorno a 1,5 milioni. Tuttavia, i salari medi reali dei lavoratori dipendenti risultano inferiori rispetto a quattro anni fa. Senza una reale trasparenza sulla distribuzione del reddito — e senza distinguere tra salari e componenti di profitto mascherate da reddito da lavoro — diventa difficile capire quanta parte del PIL finisca realmente nelle tasche dei lavoratori.
Anche qui l’AI può fare la differenza: analisi avanzata dei microdati, simulazioni di redistribuzione, strumenti di auditing algoritmico e modelli di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche potrebbero rendere finalmente leggibile ciò che oggi resta opaco.
L’economia italiana non è in crisi, ma non sta crescendo. E in un mondo che accelera grazie all’intelligenza artificiale, restare fermi equivale a perdere terreno. La fine del PNRR rende evidente un problema strutturale: senza innovazione, produttività e uso strategico dei dati, la stabilità si trasforma rapidamente in stagnazione.
La vera sfida del 2026 non sarà solo rispettare i parametri europei, ma ripensare il modello di crescita, integrando AI, automazione e analisi economica avanzata nelle politiche pubbliche e nelle decisioni d’impresa. Perché la calma piatta, in economia come nella tecnologia, è spesso solo l’anticamera del sorpasso… da parte di qualcun altro.

