
Manager Room | DANILO AVOLA: WhoFi: Riconoscere le Persone con il Wi-Fi e l’IA senza Telecamere
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L’articolo, pubblicato su arXiv nel luglio 2025 dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Informatica de La Sapienza di Roma, presenta “WhoFi“, un innovativo sistema di re-identificazione biometrica delle persone basato esclusivamente sull’analisi dei segnali Wi-Fi.
Contesto e problematica
La re-identificazione delle persone è una sfida cruciale in ambito videosorveglianza, tipicamente affrontata con metodi di visione artificiale che però spesso soffrono di problemi come scarsa illuminazione, occlusioni o angolazioni non favorevoli delle telecamere.
Metodo proposto
WhoFi utilizza il Channel State Information (CSI), ovvero informazioni dettagliate su come le onde Wi-Fi sono alterate quando attraversano o riflettono il corpo umano. Ogni individuo crea una particolare distorsione del segnale, generando una sorta di “impronta biometrica” invisibile.
Questi dati CSI vengono poi elaborati da una rete neurale profonda (Deep Neural Network, DNN) modulare, che incorpora un encoder basato su Transformer — una moderna architettura di intelligenza artificiale capace di cogliere dipendenze complesse nei dati. La rete è addestrata con una funzione di perdita negativa in-batch, che permette di imparare rappresentazioni biometrica robuste e generalizzabili.
Risultati sperimentali
L’approccio è stato testato su dataset pubblici come NTU-Fi, dimostrando risultati competitivi con le tecniche più avanzate di re-identificazione basate su immagini visive. In condizioni controllate, l’accuratezza supera il 90%, indicando che l’analisi di segnali Wi-Fi può sostituire o integrare sistemi di videosorveglianza tradizionali.
Implicazioni
Questa tecnologia permette il riconoscimento e il tracciamento delle persone senza necessità di telecamere o dispositivi indossabili, aprendo nuove possibilità ma anche preoccupazioni legate alla privacy, dato che può operare in modo passivo e senza consenso esplicito.
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L’ospite
Ne parliamo con Danilo Avola, Professore Associato di Informatica presso Sapienza Università di Roma. Impegnato da oltre vent’anni nella ricerca su visione artificiale, intelligenza artificiale e analisi di segnali, è fondatore e responsabile del Prometheus Laboratory, dove guida progetti avanzati su videosorveglianza attiva, Wi-Fi sensing, analisi di segnali EEG, interazione multimodale uomo-macchina e sistemi autonomi aerei.
È autore di numerosi articoli scientifici internazionali e coordina attività di ricerca applicata in collaborazione con enti pubblici e privati nei settori della sicurezza, robotica e difesa. Oltre all’attività accademica, promuove il trasferimento tecnologico e l’innovazione industriale attraverso la startup universitaria 4AI Srl, da lui co-fondata, specializzata in visione artificiale, percezione intelligente e trading automatico basato su intelligenza artificiale.
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L’intervista
Quali sono le principali sfide tecniche nell’estrazione delle impronte biometriche dai dati CSI Wi-Fi e come le vostre reti neurali le superano?
La principale difficoltà nell’estrarre un’impronta biometrica dai dati Wi-Fi è la natura instabile del segnale: il CSI varia con ogni minimo cambiamento ambientale, e isolare la componente legata alla persona da quella dovuta al contesto è tutt’altro che banale. Per questo i nostri esperimenti, sia su dataset acquisiti nel nostro laboratorio sia sul dataset NTU-Fi, anch’esso raccolto in condizioni considerabili controllate, ci hanno permesso di concentrarci sull’essenza del problema, riducendo le variabili esterne.
Le nostre reti neurali affrontano queste sfide imparando rappresentazioni robuste del segnale, capaci di cogliere quelle variazioni sottili che dipendono dalla specifica struttura fisica di ciascun individuo. Il segnale Wi-Fi attraversa i corpi nello stesso modo, ma viene modificato in modo unico dalla composizione dei tessuti e degli organi: è in questa interazione invisibile che si nasconde l’impronta biometrica. Ed è proprio da qui che nasce la possibilità di una biometria radio affidabile e completamente non invasiva.
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In che modo il vostro metodo gestisce variazioni ambientali come mobili spostati, presenza di più persone o interferenze da altri dispositivi?
I nostri esperimenti si sono svolti in ambienti controllati, ma non isolati: aule e laboratori universitari dove interferenze, riflessioni e dispositivi attivi sono parte naturale del contesto. Questo ci ha permesso di validare il metodo in condizioni realistiche, ma ancora gestibili dal punto di vista scientifico.
In queste situazioni, il sistema ha mostrato una buona stabilità, segno che la rete neurale riesce già a tollerare un certo livello di variabilità del segnale. Il passo successivo sarà estendere le prove a scenari più dinamici, con più persone in movimento e contesti complessi, per spingere la tecnologia verso un utilizzo quotidiano e non invasivo.
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Come bilanciate le potenzialità di WhoFi con le implicazioni etiche e di privacy che ne derivano, considerando le possibilità di sorveglianza senza consenso?
Non vediamo nulla di negativo nel fatto che una tecnologia come WhoFi possa essere usata anche per la sicurezza o la sorveglianza: la differenza sta nel come. A differenza delle telecamere, il Wi-Fi può attraversare pareti e ostacoli, ma non cattura immagini o volti: registra solo l’impronta biometrica interna che nasce dall’interazione del segnale con il corpo umano. Questo lo rende più rispettoso della privacy, ma anche più robusto contro camuffamenti, occlusioni e limiti tipici della videosorveglianza tradizionale. In altre parole, WhoFi non “vede” le persone, ma ne riconosce la firma elettromagnetica. È un approccio completamente nuovo alla percezione umana, che può garantire sicurezza e controllo senza rinunciare alla tutela dell’identità individuale.
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Potete spiegare il ruolo specifico dell’encoder Transformer nella vostra architettura e perché è particolarmente adatto a questo tipo di dati?
Il cuore del nostro sistema è l’encoder Transformer, che abbiamo scelto per la sua capacità unica di cogliere relazioni complesse all’interno dei dati Wi-Fi. Ogni segnale CSI è una sequenza ad alta dimensionalità, dove ogni sottocarrier interagisce con gli altri e varia nel tempo. Il Transformer riesce a leggere queste dinamiche come un linguaggio, individuando automaticamente le correlazioni più significative tra ampiezza, fase e tempo. In pratica, l’encoder costruisce una rappresentazione profonda e coerente dell’impronta radio della persona, filtrando il rumore e amplificando gli aspetti davvero distintivi. È questo che lo rende così adatto: non si limita a classificare, ma impara a comprendere la struttura nascosta del segnale, trasformandola in una firma digitale unica per ogni individuo.
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Quali sono le prospettive future per WhoFi? Intendete estendere la metodologia ad altre forme di rilevamento biometrico o integrarla con sistemi visivi esistenti?
Il passo successivo per WhoFi è portare la tecnologia fuori dal laboratorio, in ambienti reali e dinamici. Vogliamo capire come il sistema si comporta quando più persone si muovono contemporaneamente, quando l’ambiente cambia o quando i dispositivi generano forti interferenze. È qui che si misura la solidità di una vera biometria radio. Parallelamente, stiamo esplorando l’integrazione con altre modalità di percezione, come i sistemi visivi o i sensori fisiologici, per creare modelli multimodali più completi. L’obiettivo è costruire una nuova generazione di intelligenze ambientali capaci di percepire in modo invisibile ma rispettoso, unendo accuratezza scientifica e tutela della privacy.
Giuliana Gagliardi
Chief Editor DiPLANET.Tech


