
Sconfiggere la fame entro il 2030: come l’IA trasforma la “fattoria intelligente” e i sistemi agroalimentari
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A ottant’anni dalla nascita della Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), i sistemi agroalimentari globali si trovano davvero a un bivio. La sfida della sostenibilità e della sicurezza alimentare oggi richiede un alleato decisivo: l’Intelligenza Artificiale (IA). Sempre più spesso l’IA viene indicata come uno strumento concreto per sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030.
Durante un convegno tenutosi ieri a Roma, la FAO ha ribadito come le tecnologie digitali — e in particolare l’IA — siano il perno per una vera trasformazione del settore agricolo. L’IA non è più fantascienza: è già protagonista della “fattoria intelligente del futuro”. Un futuro molto vicino, dove le applicazioni si estendono lungo tutta la filiera agroalimentare.
Nell’agricoltura 5.0, il comparto si trasforma in un sistema di alta precisione, simile alla meccanica avanzata. Algoritmi di machine learning analizzano in tempo reale grandi quantità di dati provenienti da droni, sensori sul terreno e immagini satellitari. Il risultato? Gli agricoltori ottimizzano l’uso di acqua e fertilizzanti, applicandoli solo dove servono, con un netto risparmio di risorse e una drastica riduzione dell’impatto ambientale. Inoltre, si riduce il dispendio fisico da parte dei lavoratori.
L’IA è anche in grado di monitorare lo stato di salute delle colture e prevedere focolai di malattie o parassiti con una precisione fino a ieri inimmaginabile. Interventi rapidi e mirati diventano possibili prima che il danno diventi irreversibile. E i benefici ricadono anche sui consumatori: grazie alla tracciabilità del cibo e all’ottimizzazione delle catene di approvvigionamento, si riducono gli sprechi post‑raccolta e si migliora la qualità delle derrate.
Se l’ottimismo verso queste innovazioni è elevato, la FAO evidenzia però che il percorso verso l’agricoltura digitale deve essere inclusivo ed etico. “L’innovazione basata sull’IA non deve lasciare indietro nessuno” è stato il messaggio centrale della convention. È cruciale che le soluzioni tecnologiche tengano conto delle realtà locali e siano co‑progettate con i beneficiari principali: i piccoli agricoltori e le comunità rurali. Serve inoltre una piattaforma di dialogo continuo per orientare strategie digitali che rispettino valori culturali, ambientali ed etici. L’obiettivo è chiaro: garantire che la rivoluzione digitale in agricoltura contribuisca a una crescita equa e sostenga la visione 2030 della FAO per un mondo libero da fame e malnutrizione.
In Italia, il tema è affrontato con una certa cautela: pur confermando di essere un Paese “tecno‑consapevole”, il nostro contesto richiede che l’innovazione sia etica e sotto controllo. Secondo i dati Coldiretti/Censis presentati al XXIII Forum Internazionale dell’Agricoltura, l’86 % dei cittadini chiede di valutare attentamente i benefici e i costi delle nuove tecnologie in termini di lavoro, qualità della vita e impatto ambientale. L’attenzione è particolarmente alta quando la tecnologia tocca il piatto: si registra un diffuso rifiuto verso il “cibo sintetico”, percepito come minaccia alla salute e ai valori culturali della cucina mediterranea.
Mentre l’Italia promuove l’Agricoltura 5.0 – con droni, sensori e piattaforme digitali per incrementare produttività e sostenibilità – il segretario della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, avverte contro il “suprematismo tecnologico”. Il messaggio è chiaro: la tecnologia deve restare al servizio dell’uomo, e quando sono in gioco le risorse alimentari non dovrebbero essere delegate a chi possiede solo gli algoritmi. L’Italia, dunque, dice sì all’innovazione in campo (il valore dell’Agricoltura 5.0 è stimato in 2,3 miliardi di euro) ma ribadisce un netto no a un’Intelligenza tecnologica che produce cibo in laboratorio, riaffermando la centralità della responsabilità umana e dei limiti etici.
Giuliana Gagliardi
Chief Editor DiPLANET.Tech

